Il problema della censura affidata agli algoritmi
Negli ultimi anni le piattaforme social e non solo hanno incominciato ad ampliare i loro sistemi con degli algoritmi di riconoscimento delle parole ritenute offensive e inappropriate, questo per ovviare alle numerose accuse secondo cui il web lasciava eccessiva libertà di espressione, soprattutto a quegli utenti che utilizzavano le piattaforme per lanciare insulti ed epiteti, discriminare e minacciare o addirittura creare gruppi di propaganda razzista o fascista. Per ovviare a questo problema, impossibile da arginare manualmente (solo Facebook conta quasi 3 miliardi di iscritti), le piattaforme social come Meta ma anche i grandi colossi come Google con Youtube e Amazon con Twitch, sono intervenuti sviluppando degli algoritmi capaci di riconoscere le parole “incriminate”, ossia quelle inserite nella black list, e addirittura cancellarle bloccando i post o segnalando gli autori dei contenuti. Questo però ha creato non pochi problemi da un punto di vista etico, perchè secondo esperti e costituzionalisti la libertà di espressione sarebbe soggiogata nelle mani di poche grandi piattaforme di comunicazione e dei loro algoritmi. Non è un caso l’episodio avvenuto nel febbraio 2021 dove lo scacchista Antonio Radic, durante la telecronaca di una partita di scacchi su Youtube, ha osato pronunciare la frase: «Il bianco attacca il nero». L’algoritmo è intervenuto tempestivamente bloccando il canale di scacchi per contenuti razzisti. Un episodio che ha suscitato non poche polemiche sul fatto che in questo momento la censura, argomento molto delicato poiché riguarda la libertà di espressione, venga decisa in automatico da una intelligenza artificiale.
È di qualche giorno fa il caso di Davide Franco Jabes, autore di un importante saggio su Hitler dal titolo “Il leader”, con tanto di primo piano di Adolf Hitler in copertina, che si è visto bloccare istantaneamente l’account per 30 giorni per “incitazione all’odio” per aver pubblicato un post con il suo libro su Facebook.
Caso analogo ha riguardato invece il saggista Bruno Ballardini, reo di aver pubblicato su Facebook un post dove era citata una frase di Benito Mussolini che diceva: “Io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani”. Ebbene, l’algoritmo l’ha interpretata come apologia di fascismo e il suo account è stato bloccato per un mese. L’autore ha anche provato a contattare il social, ma senza successo: “Inutile mandare segnalazioni all’assistenza: semplicemente, il sistema non concede appello, non c’è modo di spiegare il vero senso di un post che peraltro non aveva ricevuto nessuna contestazione umana“.
Il problema della libertà di espressione in mano all’intelligenza artificiale è stato dibattuto per anni ma fino ad ora la conclusione è stata, complice anche il periodo politically correct che la nostra società sta attraversando, che si preferisce prevenire comportamenti lesivi per alcune persone o comunità piuttosto che lasciare tutto in balia della libertà di parola che sul web sembra ancora molto difficile da arginare.